Maria La Duca
Amici immaginari: Nina Fuga
Figlia d’arte, il babbo ha lavorato per tanti anni spalla a spalla con Hugo Pratt e tra le sue collaborazioni troviamo anche “Il male” – una delle più importanti riviste satiriche indipendenti di fine anni 70 -, lascia la laguna a 17 anni con un pensiero in testa: “non volevo in alcun modo fare l’illustratrice, detesto questa definizione, l’ho sempre associata a quella immagine di una scrivania chiusa fra quattro mura che mi ha fatto scappare lontano” ricorda Nina vent’anni dopo.
Ma la matita è pronta a seguirla, costringendola a ripensare a quel mestiere, per plasmarlo stavolta su di sé. A Londra si diploma alla Saint Martins e poi al Royal College of Arts, spalancando il suo immaginario al mondo della moda. Proprio da lì arrivano le prime collaborazioni, incontra designer e stilisti, lavora su tessuti che diventano foulard, giacche e gonne fino a raggiungere le pagine della rivista più ambita: Vogue.
Sembrerebbe la trama de Il Diavolo veste Prada, con Coco Chanel seduta al posto di Meryl Streep. Invece il suo percorso è ancorato alla realtà come una traccia al suo foglio; legato a doppio filo con il puro desiderio di raccontare, la memoria di un luogo, di un oggetto, di una scena rubata in metropolitana. “Il segno è il ricordo di una cosa, la volontà di non dimenticarla, l’idea che si ferma sulla carta per non perdersi” spiega Nina “Questo secondo me è il significato e l’essenza del disegno, un linguaggio libero dove l’atto nasce dall’esigenza di comunicare qualcosa a prescindere dall’esistenza di una richiesta specifica”. Nel suo mestiere si intrecciano fotografi, editori, designer e i luoghi sono piccoli come la punta di una scarpa o enormi come interi showroom, dove disegna mentre i clienti si muovono attorno a lei, osservando e interagendo con quella che ha tutta l’aria di essere una performance “arricchita dal dialogo con le persone che assistono e trasformano l’opera senza saperlo”, sottolinea.
È ben lontana la dimensione solitaria, forse impressa nella sua memoria di bambina: il tempo ha regalato a chi fremeva tutti i mezzi per raggiungere il resto del mondo.
In questo fluire veloce l’animazione si aggiunge agli strumenti che danno voce alle sue storie e “amplifica il significato quando e se è necessario: laddove l’immagine che ho concepito nasce già per il movimento” spiega Nina “questo segue la direzione che scelgo ma è l’intervento di un animatore esterno a sorprendermi sempre perché il segno riesce, da solo, ad offrire qualcosa che neppure io mi aspettavo. Muta e sussurra all’orecchio di chi lo farà muovere”. C’è scambio continuo quindi nel suo lavoro e qui forse si fa largo una certa indole che i veneziani conoscono bene. Aperti e inafferrabili come tutti i viaggiatori del mare, trasformano gli incontri nei momenti più preziosi.
Immaginate cosa può essere stato quindi per una disegnatrice come la nostra doversi chiudere in casa per sessanta giorni, quando fuori stava accadendo qualcosa di imprevedibile: era inevitabile che ne uscisse un libro. Indoors (Bruno, 2021) è un altro pretesto per sbirciare fuori dalla finestra, immaginare, fantasticare, ricordare, memorizzare quel tempo e fare tesoro di una dimensione personale che stava andando in frantumi, fagocitata dalla fretta.
Ancora una volta un segno, ancora una volta una traccia di noi.
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Nina Fuga